ESSERE CURIOSI PER ESSERE VIVI

“La curiosità è donna”. (sconosciuto).

 Questo è un detto noto a molti e usato spesso dal mondo maschile come una connotazione negativa e per indicare atteggiamenti impiccioni e ficcanaso. Gli studi e le ricerche che vedono gli inizi già nel XIX secolo dimostrano che la cosa è più complessa e che riguarda gli esseri viventi e in particolare l’essere umano. La psicologia moderna inserisce la curiosità tra le nuove emozioni primarie e vede questa caratteristica come un forte motore propulsivo per la crescita personale e per l’evoluzione umana.               

Va detto che in tutti gli esseri viventi c’è una ricerca di conoscenza dell’ambiente che li circonda con lo scopo di trovare le possibilità migliori di sopravvivenza. Quando si parla dell’uomo si fa uno step in avanti. In questo caso vengono attuate le risorse cognitive decisionali e attentive proprie dell’uomo facendo sì che si attuino quei comportamenti necessari alla ricerca delle risposte alle domande che la curiosità ha stimolato. 

E’ proprio attraverso questo elemento emozionale che gli studi hanno dimostrato come l’uomo ha imparato e ha aumentato le proprie conoscenze, facendo sì che il cervello di oggi sia una struttura che pesa circa 1,4 kg con capacità mentali estremamente più sviluppate del suo antenato neanderthaliano. La curiosità si alimenta di domande con risposte sconosciute, di voglia di conoscere e di scoprire agendo nel conosciuto, ma soprattutto nell’ignoto. 

Il mondo della ricerca scientifica e non solo si nutre di questa voglia di andare oltre a ciò che è noto e, come un cane che si morde la coda, una volta raggiunto lo scopo scatta la voglia di superare questo limite chiedendosi se quello è l’ultimo gradino di quella ricerca o non c’è qualcosa ancora da conoscere. Pensiamo cosa sarebbe stata Rita Levi Montalcini o Margherita Hack senza la curiosità che le ha guidate nelle loro ricerche. Coloro che sviluppano lungo tutta la loro vita questo potente nutrimento per il loro cervello, continuano a stimolare le funzioni che lo stesso ha, facendo in modo di rallentare ogni processo di invecchiamento. 

Si è visto in molteplici ambiti scientifici come il tenere sveglio e attivo il cervello sia la medicina migliore per non avvizzirlo. Questo non passa solo attraverso le grandi ricerche o grandi stimoli che guidano scienziati e ricercatori, ma anche attraverso la curiosità di leggere un libro di un genere mai letto, fare viaggi facendosi proprio incuriosire dal viaggio stesso e dal conoscere direttamente persone di culture usi e costumi diversi, dall’ intuire il comportamento di altri non dando tutto e sempre per scontato. Insomma bisogna saper rompere quella routine che porta alla noia all’abitudinarietà e che, se non rotta, ci consegna ad una vita piatta. 

Lo psicoanalista D. Winnicott ritiene che: quando un essere umano perde la sua curiosità vede svanire il proprio impulso vitale, la propria creatività, la propria spontaneità e, alla fine, la propria felicità. Nel mondo del lavoro avere collaboratori che sanno mettere a frutto una buona curiosità consegna all’azienda ove la persona opera una propulsività che vede nella capacità di problem solving nella creatività e quindi nell’azione, la benzina necessaria per spingere il motore dell’efficacia operativa al massimo. Da un punto di vista neuroscientifico, ricercatori statunitensi dell’università Vanderbilt di Nashville hanno pubblicato sulla rivista “Science” uno studio svolto sui topi. Gli animali sono stati messi di fronte ad oggetti conosciuti e nuovi ed è stata studiata la reazione del cervello rispetto al comportamento adottato.                    

Ne è emerso che l’attività non avviene nelle aree della ricompensa ma nella zona incerta, dove avvengono le attività anche legate alla fame, al sonno e alla paura. Questa è una area di materia grigia collegata ad uno dei nuclei del talamo la quale attivazione avviene attraverso il neurotrasmettitore Gaba (acido y-amminobutirrico).                    Tornando nell’ambito psicologico, gli psicologi Christopher Peterson e Martin Seligman nel loro testo “Characther Strengths and virtues: a handbook and classification”, affrontano vari tipi di curiosità e in particolare due macro aree che sono la curiosità generale e quella specifica. Nel primo caso si può dire che è quella che si presenta in un ambito più ad ampio raggio. 

Essa è maggiormente collegata alla ricerca di sfide dove vede l’individuo mettersi alla prova in esperienze nuove senza certezze del risultato. La curiosità specifica vede concentrare il focus maggiormente in un ambito di interesse specifico e quindi risulta meno guidata dal carattere; è strettamente influenzata dagli interessi personali. Un esempio può essere, per l’appunto Rita Levi Montalcini che ha dedicato una vita alla ricerca sulla rigenerazione del tessuto nervoso e in particolare del cervello. 

Oggi da adulti, se è ancora presente in noi qualche ricordo dell’infanzia, di come ci piaceva smontare un giocattolo per vedere come era fatto, come funzionava, o come, nonostante qualche adulto ci dicesse di non andare in un posto, ci dirigevamo subito verso quella direzione per scoprire cosa c’era, facciamo in modo che rimanga e, possibilmente, cresca quella curiosità che da bambini ci ha permesso di fare quelle esperienze e di conoscere tutto ciò che oggi fa di noi delle persone che sono in grado di scegliere se appiattirsi su una vita noiosa e senza stimoli o su una vita stimolante guidata dalla curiosità e dalla ricerca del nuovo continuando a far girare la ruota di una vita dinamica.                                                                 

Dott. Massimo Maroncelli