ARRENDERSI AL DOLORE e ALLA PAURA

Il dolore fisico tra i più distruttivi e la paura che ti assale quando sai che stai per sperimentarlo ancora e ancora, è qualcosa che provo ormai da 30 anni. Un giorno un gene dentro di me ha deciso di attivarsi e mi sono ritrovata con una presenza periodica indesiderata: la Cluster Headache (CH), tradotta in italiano simpaticamente con “cefalea a grappolo” sembra non aver proprio nulla né di cefalea, né di tantomeno simpatico. 

Giusto per capirci, viene così descritto (quoto Wikipedia): Il Dr. Peter Goadsby, professore di Neurologia Clinica all'University College di Londra, uno dei principali e più all'avanguardia ricercatori di questa patologia, l'ha descritta come:  "[...]probabilmente il più grave dolore che gli umani possano provare. Mi rendo conto che è un'affermazione molto forte, ma se doveste chiedere ad un paziente affetto da questa patologia se abbiano mai provato dolore peggiore, vi risponderanno universalmente di no. Le donne che soffrono di cefalea a grappolo vi diranno che è peggiore del dare alla luce un figlio. Pertanto potrete immaginare che queste persone sopportano l'equivalente di un parto, senza anestesia di alcun genere, una o due volte al giorno, per sei, otto, o dieci settimane alla volta, per poi prendersi una pausa. È semplicemente orribile” Posso aggiungere che donne con la CH che hanno avuto anche i calcoli renali, oltre ad un parto doloroso, sostengono che non ci sia alcun confronto con i dolori inflitti dalla cefalea a grappolo, alimentati dal fatto che quando hai un attacco sai che ne avrai ancora e ogni volta ti travolge la paura che l’intensità del prossimo attacco possa essere insostenibile. Chiamata anche “cefalea da suicidio”. Ho reso l’idea? 

Per questo motivo mi sento autorizzata a parlare di dolore e paura del dolore, che sono vecchi amici da tanto proprio per questo motivo. Non si tratta di una patologia curabile, si possono solo prendere medicinali pesantissimi, cercare di arginare il problema il più possibile e conviverci. Qualcuno ha raggiunto la cronicità, mentre altri come me hanno questo disturbo periodicamente (i grappoli) con una durata da 3 settimane ad un paio di mesi, una o due volte all’anno, con numerosi attacchi invalidanti durante il giorno ma anche e soprattutto durante la notte, portando ad ulteriore disturbo del sonno e devastazione fisica e psichica. La buona notizia è che modificando il proprio approccio nei confronti del dolore, si possono ottenere risultati inimmaginabili. 

Ho testato su me stessa l’autoipnosi e la modifica del mio approccio nei confronti del dolore, durante il sopraggiungere dell’ultimo grappolo nel novembre 2020, superando un mese di grappolo attivo senza utilizzare altri tipi di terapia. Ho sperimentato quanto sia sbagliato l’approccio che siamo abituati ad utilizzare: non si tratta di sconfiggere un nemico armandosi fino ai denti preparati ad andare in battaglia perché per combattere paura e dolore, il miglior metodo è proprio non combattere. Combattere, essere dei duri, affrontare di petto il dolore e la paura: dove sono le prove che questo atteggiamento porta a risolvere qualcosa? In realtà è proprio chi si “arrende” e si lascia oltrepassare dalla sofferenza, che la supera. Arrendersi significa il contrario di avere paura, lasciarti travolgere dalla corrente impetuosa delle rapide, pronto ad accettare e subire con morbidezza la caduta dalla cascata. Se invece mi ostino e mi affanno a remare contro corrente, l’acqua forse può invertire il suo flusso? Le mie energie possono contrastare una forza della natura? Se non mi preparo al tuffo inevitabile agevolando una sorta di aerodinamicità al mio corpo, quanto minori saranno le possibilità di sopravvivere alla caduta? Più saggio sarebbe lasciarsi fluire e prepararsi a trattenere il fiato per non annegare. Non ostacolare ma agevolare. 

Non è forse il concetto delle arti marziali? Sii acqua, ci esortava Bruce Lee. La paura del dolore è ciò che lo alimenta. Lasciare entrare l’ombra dentro di noi ci permette di accettarla, assorbirla, privarla del suo potere ed infine liberarci di essa senza il conflitto. Il conflitto è come un bambino capriccioso che punta i piedi, un cagnolino che tira indietro il guinzaglio per non procedere: un comando autorevole, una ramanzina o strattone e la presa di posizione si risolve in modo sfavorevole con più dolore. Il lasciar andare, notoriamente giudicato un atteggiamento da perdente, è invece tra le doti più sane che ci siano. Non equivale a lasciar perdere. Il vero coraggio è di chi ha capito che con morbidezza e fluidità si possono assorbire i colpi più duri con meno dolore. 

Se ci pensiamo, anche le automobili vengono costruite appositamente “accartocciabili” per assorbire gli urti. L’impatto sarà sì devastante per la carrozzeria, ma preserverà la vita del guidatore. Ricordo una notizia bizzarra di qualche anno fa in cui si raccontava di qualcuno che era sopravvissuto al lancio dall’aereo anche se il paracadute non si era aperto. Forse è successo a più di una persona, ma ho ripescato l’intervista di Brad Guy che nel 2013 è sopravvissuto alla caduta da 4500 metri che racconta: “quando ho visto che entrambi i paracaduti non avevano funzionato, ho cominciato ad accettare la morte—sapevo che sarebbe arrivata. C'era questo strano stato di calma, 'Ok, sta succedendo. Sentirò il dolore peggiore che ho mai provato, e una volta che questo arriverà morirò.' L'ho accettato”. Ritengo che sia interessante notare come l’accettazione del peggior dolore mai provato e della morte abbia reso possibile invece la sua salvezza. 

Vi esorto dunque a rendere voi stessi un mezzo di assorbimento e inglobamento delle vostre paure e dei vostri dolori, accettando di venire sconquassati all’esterno, arrendendovi all’inevitabile per tutelare il vostro cuore e preservarlo da ulteriori inutili ostilità. 

Barbara Bisello